25/02/12

IL GIORNO PRIMO E L’OTTAVO/13. Il senso della Parola è oltre le parole.


L’ultima volta, chiudendo le mie considerazioni in merito alle parole in frantumi, facevo un’evidente allusione al fatto che per parola davvero capace di accendere scintille di senso io ne individui solo una, che è poi la parola che viene da Dio. Vorrei dire qualcosa in merito a come viene utilizzata nel cristianesimo, specie nella Chiesa cattolica, l’espressione “Parola di Dio”.

Il riferimento di ogni pensiero che si voglia dire cristiano...
è uno solo: è tutto ciò che fa parte della Rivelazione. Questa è una esperienza che si è realizzata nella storia, nel senso che Dio, nel pensiero cristiano, si è fatto conoscere, si è rivelato attraverso una serie di eventi di tipo storico. Si tratta di una affermazione molto importante, più di quanto sembri. Dire che Dio ha usato della storia per rivelarsi significa affermare che Egli ha usato degli elementi che fanno un evento storico, e cioè fatti uniti a parole: le opere compiute da Dio rafforzano le dottrine svelate e le parole, a loro volta, chiariscono il senso degli eventi. L’esito di questo modo di procedere fu descritto dal Concilio Vaticano II con questa espressione: “Con questa grande rivelazione Dio invisibile parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé” (Dei Verbum 2).

Tutto ciò aiuta a capire qual è il senso autentico che viene dato al termine Parola di Dio nel cristianesimo. La parola qui non è intesa solo come quella cosa che può assumere un suono o che si scrive con un segno grafico, segno che rimanda ad un preciso significato. Essa è invece tutto ciò che un essere vivente può utilizzare per comunicare, per mettersi in relazione e per invitare l’altro ad entrare in comunicazione con sé. Sappiamo bene tutti quanti che una persona comunica con molteplici dimensioni di sé e può diversificare le forme del suo linguaggio: gesti, espressioni, movimenti, doni, silenzi, emozioni espresse, abiti, presenza o assenza. Una persona è un mondo di linguaggi: lo siamo noi anzitutto verso gli altri e lo sono gli altri verso noi. In tutto ciò le parole vere e proprie hanno un ruolo di chiarificazione, in quanto intervengono in tanti fatti che altrimenti resterebbero un poco ambigui e ne esplicitano l’interpretazione. Ma è pur vero che sarebbero vuote quelle parole che non fossero accompagnate da eventi, comportamenti, azioni, gesti.

L’utilizzo del termine parola nel cristianesimo fa riferimento proprio a questa dinamica. “Parola” è un termine molto importante in tutta la Scrittura: a partire dalla parola che risuonava sulle acque il giorno della creazione, alla parola con cui Gesù e gli apostoli erano capaci di guarire gli ammalati. Soprattutto nel Quarto Vangelo diventa importante questo termine, che in greco si rende con Logos: Giovanni lo abbina alla seconda persona della Trinità e così dice che il Figlio di Dio è “il Logos”, cioè Colui che con tutto se stesso ha come sua essenza d’essere comunicazione. Noi non sappiamo come Egli comunichi davanti a suo Padre, ma ne abbiamo avuto un assaggio nella Sua vicenda terrena. In essa Gesù, Logos diventato carne, ha comunicato con tutto di Sé: dall’essere bimbo al divenire adulto, dalle parole ai gesti, con l’esprimersi e con lo stare in silenzio. Per certi versi, se ci mettessimo a leggere con attenzione i vangeli, ci accorgeremmo che Gesù ha pronunciato pochissimi discorsi e compiuto molti fatti.

So che molti cristiani, e non, sono attenti solo alle parole che si dicono da parte della Chiesa, mentre essa, a immagine del suo Signore, parla più coi fatti che con le parole. In particolare nella Liturgia, tutto è importante, dalle parole ai gesti di cui si fa memoria o ai gesti che si fanno concretamente: alzarsi, inginocchiarsi, fare elemosina, scambiarsi la pace, mangiare l’Eucarestia. Tutto ciò avviene a immagine di Colui che disse “Questo è il mio corpo dato per voi” e che il giorno dopo si lasciò inchiodare in croce. È un peccato vedere come molti si limitino a commentare le omelie dei preti e non vedano nulla di tutto ciò che succede poi attorno, eppur così pieno di valore e così capace di suscitare meraviglia e commozione. Pensateci: quante volte avete anche voi parlato del prete e quante delle parole e dei gesti di Gesù che il prete di limita a ripetere?

Da ultimo, sfioro appena una questione, ma da un punto di vista differente. Io capisco i molti che, vivendo in situazioni matrimoniali per la Chiesa irregolari, si lamentano con essa dell’esclusione che patiscono dal poter accedere alla comunione eucaristica. Sotto sotto, essi hanno capito una cosa: quanto è grande potere essere coinvolti nella relazione con Cristo al punto in cui Egli viene in noi e noi siamo messi in Lui. Questi tali, pur nell’esclusione e nel dolore, stanno imparando una cosa: che non si possono prendere le cose con leggerezza. Stanno imparando un modo di vivere in cui diventa tutto importante e in cui di tutto bisogna essere responsabili, molto più di come han fatto fino a quel momento, specie di fronte a Dio, specie paragonandosi al Suo modo di comunicare con noi.

Don Alberto

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